Momenti della lontananza

In evidenza: Mel Gibson e Nick Stahl in the man without a face, 1993.

Pioggia che scende sulle finestre. Abbondante, fitta e fredda. Vuoto esistenziale. Lacrime del creatore lì, proprio su un vetro freddo che un artigiano privato ha creato per difendere quel nido sicuro della casa (cosa di cui parlai nell’articolo Abitare) da agenti esterni, dal freddo dell’inverno, dalla rabbia e dai turbinii dei temporali d’agosto, e da quelli più severi di Dicembre; dovrebbe essere un nido sicuro, ma non sempre lo è, perché come diceva Paul Valery, un uomo solo è sempre in cattiva compagnia, in mauvaise compagnie. Un uomo o una donna, intendendo il termine uomo facendo riferimento al genere umano e non soltanto ai maschi. In quel nido sicuro si sta soli (come parlai nell’articolo Solitudine), soli perché non c’è qualcuno che ti aiuta e quelli che ti stanno intorno in fondo sono solo maschere o sono molto distanti (l’infinita distanza). Allora, come in quella canzone, stasera mi rilasso, penso a te e scrivo una canzone. Una canzone che sia dolce più che posso, perché oggi sono Io (A. Britti, oggi sono io, It.Pop, 1998). E non sa se quel messaggio nella bottiglia tu, lo leggerai, so solo che ho voglia di esprimermi attraverso la musica e far cantare il cuore attraverso le parole. Parole dolci. Parole comprensive, che spero che possano giungerti al cuore, parole di compassione, per farti cambiare idea. C’è anche un’altra canzone, perché la musica è poesia, qui torno a ripeterlo, che parla di un uomo lasciato, un brano di Samuele Bersani. Sta lì. E per farlo felice, perché va giù con un niente (S. Bersani, Spaccacuore, Freak, 1994) ci vorrebbe un amico, per poterti dimenticare, tu che adesso dormi e stai con un altro. Chissà adesso con chi sei  avrebbe detto Battisti. Pioggia che cade incessante sull’asfalto di una città anonima, tante case, tanti grattacieli, metropolitane piene di maschi che confondono le linee di Mirò, negozi, luci a neon, le caratteristiche della tipica città moderna. E in quel conglomerato di case, e di anime, di cui parlai in Abitare, sta anche l’anima individuale del soggetto immaginario del testo di oggi; lui è uno tra tanti mattoni che fanno case, speranze, high hopes, da una vita da cui poi hanno ricavato spesso soltanto disagio e tanta, tantissima, solitudine. Dissi in Semantica dell’ambizione (come l’articolo omonimo) che ciò che vuole l’essere umano è compagnia, semplicemente. Lo dedussi alla fine di un discorso riguardante l’individualità personale e  l’ambizione. Anche qui, ancora una volta il tema dell’essere soli. Dello stare soli. E dei ripensamenti. Poteva andare meglio. Una risposta o un rimprovero troppo severo e fuori luogo, quello di un Padre verso un figlio. Soprattutto in amore. Che sia amore fraterno. Tra vecchi amici che non si sentono da molto tempo. Che sia amore tra pari, tra uomo e donna, che sia un amore del gender (in questa rivista non si fa nessuna forma di discriminazione), che sia un amore tra un padre e una figlia, o un padre e un figlio (Padri e Figli) poco importa, tutte queste cose raccolgono e spiegano i momenti della lontananza. Ho utilizzato non a caso il termine “momenti” perché rende meglio l’idea di cosa sia l’attimo e gli attimi di sentimento in cui ci si sente pari a se stessi e quel senso di vuoto esterno ed interno. Mi sento solo. Non ho nessuno con cui parlare. Mi sento de-centrato, non riesco ad essere il mio Io autentico. Mi sento inerte. Perché per essere presenti a se stessi, serve sempre L’Altro. Con la “a” maiuscola. L’alterità (Bachtin). Perciò nei momenti della lontananza anche se la ragione distanzia e detta legge sentenziando norme e dicendo “lui ha sbagliato, lui è sbagliato, lui non va bene, lui non si comporta bene” il cuore invece desidera quella persona. La vuole assolutamente, per sempre. E non c’è smartphone che tenga per sostituire l’infinita ricchezza della presenza umana. Nel qui ed ora. Perciò nel romanticismo, così come nei rapporti familiari. La lontananza gioca un ruolo fondamentale. Un altro tassello del mio book of dreams.

Giovanni Sacchitelli

In evidenza: Mel Gibson e Nick Stahl in the man without a face, 1993. Pioggia che scende sulle finestre. Abbondante, fitta e fredda. Vuoto esistenziale. Lacrime del creatore lì, proprio su un vetro freddo che un artigiano privato ha creato per difendere quel nido sicuro della casa (cosa di cui parlai nell’articolo Abitare) da agenti esterni,…